Tutti al mare. Confesso che di tutti i movimentati movimenti che attraversano la sinistra italiana quelli con cui trovo meno affinità sono i girotondini. Quando poi ho saputo che erano venuti a girotondare a Rimini anche per sostenere la raccolta di firma per il nuovo referendum di Antonio Di Pietro, beh... li ho trovati ancor meno simpatici. Se a volte infatti riesco a trovare convergenze ideali che mi permettono di superare la naturale diffidenza verso questo popolo così autoreferenziale (è una brutta parola, lo so...) da autodefinirsi "società civile", Di Pietro non sono mai riuscito a digerirlo. Al di là di ogni valutazione politica, ideologica e ideale, è un giustizialista e soprattutto un maleducato (come ha potuto appurare chiunque abbia visto a suo tempo in tv il processo Cusani).
Seppure un po' prevenuto sono andato a vederli ieri in spaggia a Rimini, i girotondini: quattro gatti davvero. E la sera sono andato al palazzetto dello sport a sentirli mentre urlavano a squarciagola cose che sanno tutti, ma loro le sanno meglio perché della sinistra, in qualche modo, detengono la verità, la verità civile (proprio come la società). E così mi sorbisco una sfilza di paladini della giustizia: Pancho Pardi, Peter Gomez, Marco Travaglio, persino Stefania Ariosto e la ragazzetta che a Berlino ha chiesto a Ciampi perché aveva firmato il Lodo Maccanico. Ero disperato. Mi sentivo in un paese dove l'alternativa alla padella pare proprio sia la brace. Beh, in quel momento è apparso Dario Fo. Ero talmente scocciato da essere maldisposto pure nei suoi confronti, ma quando ha iniziato a recitare pezzi del suo spettacolo Ubu Bas va alla guerra, mi sono sciolto, eccome, in una risata liberatoria. Ecco uno che diceva le stesse cose degli altri, ma con garbo e ironia, facendo sorridere, senza piglio giacobino, ma con la leggerezza del giullare. Grande, grandissimo.
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