Le cose che durano. "Noi due insieme cominciavamo ad essere come un vecchio cappotto che ha perso la linea originaria, e con essa il fastidio della rigidità, e proprio il cedimento, la consunzione naturale del tessuto, lo rendono unico, inimitabile". Sarà perché mi rispecchio molto in questa frase rubata all'inquietante e bellissimo romanzo Non ti muovere di Margaret Mazzantini, sarà che la cosa che detesto di più del consumismo è il dover cambiare spesso le cose, ma io non sopporto che un oggetto a me caro, che magari mi è costato fatica e denaro, non mi possa accompagnare per un pezzo molto lungo della vita. Magari rattoppato, magari rimesso in sesto ogni tanto, ma vivo compagno dei gesti quotidiani. Le cose, gli oggetti, mantengono vivi i ricordi, ti stanno vicino e invecchiando diventano più belle. Ecco perché amo le canne da pesca in bambù, i mulinelli da pesca in metallo, i vini capaci di stare a lungo nelle cantine, i meccanici che fanno andare le auto anche quando tutti ti urlano di rottamarle, i tecnici che aggiustano le vecchie lavatrici anche se "non conviene, una nuova costerebbe di meno".
Ho sempre sognato di potermi regalare un orologio robusto e meccanico destinato a uno dei miei figli. Tra i miei desideri c'è una Leica, la macchina fotografica immortale capace di resistere ai giapponesi, al tempo e alla tecnologia inutile (di quella utile è un concentrato).
Quando l'altro giorno, dopo le solite tre o quattro stagioni, le mie ennesime pedule ultratecniche in cordura e gore-tex mi hanno abbandonato, ho deciso e oggi ho acquistato un paio di "vecchi" scarponi in cuoio, da coccolare alla fine di ogni escursione e da ingrassare quando ho voglia di montagna ma il tempo e gli impegni mi tengono in città. Saranno meno tecnici e meno moderni, ma sono destinati a farmi compagnia a lungo, per molta strada.
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